Schizzi di sangue ovunque, un bambino ucciso con la leggerezza con cui si uccide un moscerino, streghe seducenti e un malvagio sicario senza testa. L'ultimo film di Tim Burton (il regista di Ed Wood ed Edward Mani di forbice, sempre con Johnny Depp) è un fumettone girato con perizia, ma senza alcun approfondimento delle molteplici tematiche che attraversano la storia.
Si direbbe che l'influenza del produttore esecutivo del film, Francis Ford Coppola, abbia prestato le atmosfere del suo Dracula a un film tratto da ben altra narrativa, quella divertita dello scrittore ottocentesco Washington Irving, autore de "La leggenda di Sleepy Hollow". Ma se nel racconto di Irving si trattava di narrare la vicenda di un maestro del Connecticut andato a vivere nella "valletta sonnolenta" di Sleepy Hollow, vicino a New York, in mezzo a una trasognata e fiabesca comunità olandese, qui il detective Ichabod Crane (Johnny Depp) viene mandato per punizione nella comunità per indagare su una serie di particolari delitti: i corpi ritrovati sono tutti senza testa.
La conclusione a cui l'induttivo e scientifico Ichabod Crane non vuole arrivare è che sia tutta colpa del leggendario cavaliere senza testa, un inquietante personaggio assetato di sangue, decollato decenni prima dalle sue vittime sopravvissute. Coi denti acuminati come un'arma d'acciaio, quasi si trattasse di un personaggio tratto dal film giapponese Tetsuo, Christopher Walken, che interpreta la parte del cavaliere immortale, va in giro a mozzare teste alla velocità di un treno.
Queste scene del cavaliere di per sé sono molto affascinanti, peccato che nel film non ci sia alcun messaggio e neppure la soddisfazione di uscire dal cinema illesi dopo essere scampati a un paio d'ore di tensione. Troppi sono i temi proposti da Burton, e per tenerli tutti insieme ci voleva un lavoro scrupoloso, senz'altro più meditato da offrire allo spettatore. Il taglio adottato è quello fumettistico, per stereotipi, dove lo sgorgare di sangue è accompagnato da scene buffe, con Johnny Depp che sembra Lupin III.
Christina Ricci, nella parte di Katrina Van Tassel, una seducente, garbata, civettuola e ricca ragazzina, sostiene bene il personaggio, con un misto di ammaliamento erotico e stregoneria: ma anche qui si tratta di mettere insieme due figure (la donna seducente e la strega) che la cultura maschilista conosce a fondo da più di un millennio. In questo caso, si capisce che l'introduzione della donna strega è fatta più per questioni di presa sul pubblico (con la morale che dietro una fanciulla disponibile non si nasconde necessariamente una strega) che per segnalare cosa significa essere interessati all'esoterismo e quale dissidio e danni abbia comportato l'associazione di malafemmina e strega nella storia umana. La Maddalena evangelica pare non aver insegnato molto in proposito, ma Tim Burton poteva provarci.
Anche la figura del cavaliere come sicario, manovrato da qualcuno, poteva essere interessante per suggerire qualche riflessione sulla condizione di chi, perduta letteralmente la testa, commette dei crimini efferati per salvare se stesso. Johnny Depp, pur bravo nel tenersi in un ruolo fatto di una mimica comica, a partire dalla fifa che pare sopraffarlo, si scopre aver rimosso una vicenda inquietante del passato. Qui il passato tremendo che lo ha segnato quand'era bambino è dato dalla morte più truculenta di tutte occorsa alla madre (torturata a morte dentro un'armatura) per mano del marito. Questo giustificherebbe l'idea del detective di cercare dietro lo spettro del cavaliere una persona in carne e ossa che lo muove. Peccato che il passato emerga come un sogno, come allusione al subconscio che Freud avrebbe individuato un secolo dopo.
Le scene concitate, truculente e divertite funzionano, nel loro grottesco modo di criticare l'America, nei film di Russ Meyer (Sotto la valle delle superfemmine, Up! e Ultravixen) in cui l'uomo era ridotto alla forza bruta del maschio e della femmina, secondo un conflitto antico, ma trasformato dal femminismo e dall'antifemminismo degli anni Settanta, dalla lotta brutale tra tradizionalismo e spirito libertario, naturistico e nudistico, fra comunità e individualità, provocatoriamente scartando ogni discorso sul perbenismo americano.
Qui invece, per Burton si tratta di richiamare temi alla moda (quelli che trovereste nelle info dei giovani utenti delle chat di tutto il mondo): da esoterismo, stregoneria, misteri, natura e poesia al crimine efferato che attende dietro l'angolo ogni americano, al progresso che avanza con le nuove tecnologie, incomprese all'inizio, ma che funzionano in seguito, all'erotismo, all'amore e alla paura del maschio di essere irretito, ammaliato e ingannato dalla donna gentile e propositiva.
Cinematograficamente parlando la fotografia e il montaggio sono buoni, anche se l'iconografia appare scontata. Il messicano Emmanuel Lubezki, candidato all'Oscar per questo film come migliore direttore della fotografia, ha dovuto lavorare tra fumi, lampi e rapidi movimenti, riuscendo a mantenere ben delineate le figure dei personaggi, quasi a disegnarle e a mitigare il sovraccarico baroccheggiante dei costumi e della scenografia di Rick Heinrichs e Peter Young, che gli è valsa un Oscar. Inoltre sono stati impiegati 300 effetti visivi di immagini ridigitalizzate, in gran parte per far scomparire dalla pellicola la testa dell'attore a cavallo e ridisegnare al suo posto gli sfondi e l'interno del collo del cavaliere. Per questo l'americana Ilm e l'inglese Cfc sono dovute ricorrere a espedienti innovativi.
È che il prodotto è fatto per un vasto pubblico che mi pare non abbia molto da divertirsi. Sembra di seguire un cartone animato, con scenette congegnate per raccontare una fiaba che ha perduto tutta la tematica della paura americana che era nel racconto di Irving. Lì si trattava di dire, né più e né meno come nella Lettera scarlatta, ma in maniera non così vigorosa, che il sottosuolo dell'America conserva i resti di un passato che precede i coloni, e che se qualcosa succede in una comunità c'è qualche mostro o spirito maligno che vi si aggira.
Questo è il senso e la preoccupazione più significativa della letteratura americana, fin dai suoi albori, e che l'americano raramente dimentica. L'Overlook Hotel dello Shining di Stanley Kubrick non era forse costruito su un vecchio cimitero indiano? Sono le ossa di un passato che torna, con cui gli americani hanno sempre da fare, ma che almeno nel Dracula di Coppola aveva un senso: si trattava di raccontare l'amore e la tenerezza fra un ragazza e un uomo malvagio per il consorzio umano, oltre al fatto di collocare volutamente il pericolo in Europa (Transilvania) e non in America, cosa che aveva già fatto con Apocalypse Now, un film tratto da un romanzo sorto da preoccupazioni inglesi. Meno meditate erano in Dracula le ovvie allusioni all'Aids, ma divertente e pertinente il ritorno di un Anthony Hopkins affamato di carne umana, dopo Il silenzio degli innocenti.
A differenza di Coppola, Burton resta ancorato alle favole che gli americani continuano a raccontarsi sul Bene e sul Male, ma senza aggiungere nulla di nuovo. Ne Il mistero di Sleepy Hollow si risente di questi due film costruiti con perizia psicologica e che, a loro modo, puntano l'attenzione su tematiche interessanti, quale con poesia e ricchi rimandi alla pittura del Settecento (Dracula), quale in maniera decisamente cruda (Il silenzio degli innocenti). Qui ci restano scenette amorose da soap opera fra Johnny Depp e Christina Ricci, corse mozzafiato dal fitto montaggio, improbabili lotte da samurai e una miriade di allusioni buone per farci un film in seguito.
È come se Il mistero di Sleepy Hollow fosse la bella realizzazione di una sceneggiatura buttata giù senza le documentazioni, le revisioni e l'eliminazione dei temi in esubero di un film fatto bene. Neppure la tensione e la risata sanno prendersi a braccetto, come faranno invece Ichabod e Katrina che, giunti alla fine della loro avventura campestre, si ritroveranno per le strade lastricate della New York del 1800, a perdersi pieni di speranza fra la folla animata.
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[pubblicato su Notizie in... Controluce, n. IX/4, aprile 2000, p. 17.]
Si direbbe che l'influenza del produttore esecutivo del film, Francis Ford Coppola, abbia prestato le atmosfere del suo Dracula a un film tratto da ben altra narrativa, quella divertita dello scrittore ottocentesco Washington Irving, autore de "La leggenda di Sleepy Hollow". Ma se nel racconto di Irving si trattava di narrare la vicenda di un maestro del Connecticut andato a vivere nella "valletta sonnolenta" di Sleepy Hollow, vicino a New York, in mezzo a una trasognata e fiabesca comunità olandese, qui il detective Ichabod Crane (Johnny Depp) viene mandato per punizione nella comunità per indagare su una serie di particolari delitti: i corpi ritrovati sono tutti senza testa.
La conclusione a cui l'induttivo e scientifico Ichabod Crane non vuole arrivare è che sia tutta colpa del leggendario cavaliere senza testa, un inquietante personaggio assetato di sangue, decollato decenni prima dalle sue vittime sopravvissute. Coi denti acuminati come un'arma d'acciaio, quasi si trattasse di un personaggio tratto dal film giapponese Tetsuo, Christopher Walken, che interpreta la parte del cavaliere immortale, va in giro a mozzare teste alla velocità di un treno.
Queste scene del cavaliere di per sé sono molto affascinanti, peccato che nel film non ci sia alcun messaggio e neppure la soddisfazione di uscire dal cinema illesi dopo essere scampati a un paio d'ore di tensione. Troppi sono i temi proposti da Burton, e per tenerli tutti insieme ci voleva un lavoro scrupoloso, senz'altro più meditato da offrire allo spettatore. Il taglio adottato è quello fumettistico, per stereotipi, dove lo sgorgare di sangue è accompagnato da scene buffe, con Johnny Depp che sembra Lupin III.
Christina Ricci, nella parte di Katrina Van Tassel, una seducente, garbata, civettuola e ricca ragazzina, sostiene bene il personaggio, con un misto di ammaliamento erotico e stregoneria: ma anche qui si tratta di mettere insieme due figure (la donna seducente e la strega) che la cultura maschilista conosce a fondo da più di un millennio. In questo caso, si capisce che l'introduzione della donna strega è fatta più per questioni di presa sul pubblico (con la morale che dietro una fanciulla disponibile non si nasconde necessariamente una strega) che per segnalare cosa significa essere interessati all'esoterismo e quale dissidio e danni abbia comportato l'associazione di malafemmina e strega nella storia umana. La Maddalena evangelica pare non aver insegnato molto in proposito, ma Tim Burton poteva provarci.
Anche la figura del cavaliere come sicario, manovrato da qualcuno, poteva essere interessante per suggerire qualche riflessione sulla condizione di chi, perduta letteralmente la testa, commette dei crimini efferati per salvare se stesso. Johnny Depp, pur bravo nel tenersi in un ruolo fatto di una mimica comica, a partire dalla fifa che pare sopraffarlo, si scopre aver rimosso una vicenda inquietante del passato. Qui il passato tremendo che lo ha segnato quand'era bambino è dato dalla morte più truculenta di tutte occorsa alla madre (torturata a morte dentro un'armatura) per mano del marito. Questo giustificherebbe l'idea del detective di cercare dietro lo spettro del cavaliere una persona in carne e ossa che lo muove. Peccato che il passato emerga come un sogno, come allusione al subconscio che Freud avrebbe individuato un secolo dopo.
Le scene concitate, truculente e divertite funzionano, nel loro grottesco modo di criticare l'America, nei film di Russ Meyer (Sotto la valle delle superfemmine, Up! e Ultravixen) in cui l'uomo era ridotto alla forza bruta del maschio e della femmina, secondo un conflitto antico, ma trasformato dal femminismo e dall'antifemminismo degli anni Settanta, dalla lotta brutale tra tradizionalismo e spirito libertario, naturistico e nudistico, fra comunità e individualità, provocatoriamente scartando ogni discorso sul perbenismo americano.
Qui invece, per Burton si tratta di richiamare temi alla moda (quelli che trovereste nelle info dei giovani utenti delle chat di tutto il mondo): da esoterismo, stregoneria, misteri, natura e poesia al crimine efferato che attende dietro l'angolo ogni americano, al progresso che avanza con le nuove tecnologie, incomprese all'inizio, ma che funzionano in seguito, all'erotismo, all'amore e alla paura del maschio di essere irretito, ammaliato e ingannato dalla donna gentile e propositiva.
Cinematograficamente parlando la fotografia e il montaggio sono buoni, anche se l'iconografia appare scontata. Il messicano Emmanuel Lubezki, candidato all'Oscar per questo film come migliore direttore della fotografia, ha dovuto lavorare tra fumi, lampi e rapidi movimenti, riuscendo a mantenere ben delineate le figure dei personaggi, quasi a disegnarle e a mitigare il sovraccarico baroccheggiante dei costumi e della scenografia di Rick Heinrichs e Peter Young, che gli è valsa un Oscar. Inoltre sono stati impiegati 300 effetti visivi di immagini ridigitalizzate, in gran parte per far scomparire dalla pellicola la testa dell'attore a cavallo e ridisegnare al suo posto gli sfondi e l'interno del collo del cavaliere. Per questo l'americana Ilm e l'inglese Cfc sono dovute ricorrere a espedienti innovativi.
È che il prodotto è fatto per un vasto pubblico che mi pare non abbia molto da divertirsi. Sembra di seguire un cartone animato, con scenette congegnate per raccontare una fiaba che ha perduto tutta la tematica della paura americana che era nel racconto di Irving. Lì si trattava di dire, né più e né meno come nella Lettera scarlatta, ma in maniera non così vigorosa, che il sottosuolo dell'America conserva i resti di un passato che precede i coloni, e che se qualcosa succede in una comunità c'è qualche mostro o spirito maligno che vi si aggira.
Questo è il senso e la preoccupazione più significativa della letteratura americana, fin dai suoi albori, e che l'americano raramente dimentica. L'Overlook Hotel dello Shining di Stanley Kubrick non era forse costruito su un vecchio cimitero indiano? Sono le ossa di un passato che torna, con cui gli americani hanno sempre da fare, ma che almeno nel Dracula di Coppola aveva un senso: si trattava di raccontare l'amore e la tenerezza fra un ragazza e un uomo malvagio per il consorzio umano, oltre al fatto di collocare volutamente il pericolo in Europa (Transilvania) e non in America, cosa che aveva già fatto con Apocalypse Now, un film tratto da un romanzo sorto da preoccupazioni inglesi. Meno meditate erano in Dracula le ovvie allusioni all'Aids, ma divertente e pertinente il ritorno di un Anthony Hopkins affamato di carne umana, dopo Il silenzio degli innocenti.
A differenza di Coppola, Burton resta ancorato alle favole che gli americani continuano a raccontarsi sul Bene e sul Male, ma senza aggiungere nulla di nuovo. Ne Il mistero di Sleepy Hollow si risente di questi due film costruiti con perizia psicologica e che, a loro modo, puntano l'attenzione su tematiche interessanti, quale con poesia e ricchi rimandi alla pittura del Settecento (Dracula), quale in maniera decisamente cruda (Il silenzio degli innocenti). Qui ci restano scenette amorose da soap opera fra Johnny Depp e Christina Ricci, corse mozzafiato dal fitto montaggio, improbabili lotte da samurai e una miriade di allusioni buone per farci un film in seguito.
È come se Il mistero di Sleepy Hollow fosse la bella realizzazione di una sceneggiatura buttata giù senza le documentazioni, le revisioni e l'eliminazione dei temi in esubero di un film fatto bene. Neppure la tensione e la risata sanno prendersi a braccetto, come faranno invece Ichabod e Katrina che, giunti alla fine della loro avventura campestre, si ritroveranno per le strade lastricate della New York del 1800, a perdersi pieni di speranza fra la folla animata.
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[pubblicato su Notizie in... Controluce, n. IX/4, aprile 2000, p. 17.]
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