26 agosto 2009

Franck Landron: "Nudisti per caso"


Cosa accadrebbe se i vostri valori di convivenza sociale fossero messi seriamente in discussione, e vi trovaste a vivere il paradosso che tutto quello che vi hanno insegnato fin da piccoli potrebbe non interessare a nessuno? È quanto capita a Sophie (Barbara Schulz), protagonista di Nudisti per caso (2003), una commedia francese di Franck Landron sulle costruzioni/costrizioni mentali del punto di vista, dell’abitudine, della normalità.

La storia si incentra sulla disavventura di una madre con due bambini che, dopo l’acquisto vantaggioso di una bella casa, scopre a sue spese che si trova nel bel mezzo di un villaggio nudista. Scandalizzata, Sophie si vede oggetto del disprezzo della collettività locale, per la sua infrazione della regola, che è quella di andare in giro vestita. Le sono amici la bella Juliette (Magali Muxart) e il marito Gilbert (Simon Bakhouche), che abitano alla porta accanto e organizzano orge domestiche.


Tutti i tentativi di rivendere subito la casa falliscono, e anche i figli sembrano sfuggirle al controllo, come il piccolo Nono (Félix Landron) che va a fare la spesa senza slip per evitare di essere ridicolizzato. Il marito di Sophie, Olivier (Alexandre Brasseur), che, per non fare la solita vacanza dai suoceri, si era prodigato nell’acquisto della casa, la raggiunge nel fine settimana. Tutt’altro che dispiaciuto dalla situazione, Sophie lo ritrova fra i «marciatori», i guardoni che in gruppo seguono passo passo gli amanti dell’amore a cielo aperto, condividendo le vacanze con i turisti del sesso e i cultori dell’ambiente naturale.

Sophie è un personaggio piccolo borghese in tutte le sue manifestazioni. Una bella trentenne insoddisfatta della propria vita, fedele per convenzione a Olivier, di cui ha un’idea sbagliata, che si scandalizza della sessualità altrui, che non è in grado di parlare di qualsiasi argomento. Schulz è bravissima nel restituirci questo candore, la rabbia inviperita di Sophie, la preoccupazione per i figli, l’incredulo imbarazzo del paradosso, l’impotente sofferenza per le repressioni dei propri istinti, la curiosità sessuale bacchettata dalle proprie convinzioni.


Il titolo originale del film, Les Textiles, indica le persone vestite, che dovrebbero tenersi fuori del campo nudista, un dispregiativo rivolto a Sophie. Landron pone a confronto due 'normalità' affatto simili (dei textiles e dei nudisti), in cui le cose cambiano di nome, ma non la logica che, a dirla con Foucault, coniuga giudizi su nomi e cose. Con il suo linguaggio da Nouvelle Vague, il film parla di una differenza fittizia, inesistente, attraverso la vistosa diversità del nudo.

Landron si riallaccia alla grande tradizione ironica, deantropologizzante de I viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift, all’interesse di Luis Buñuel per la normalità che guarda con occhio severo la diversità, una volta che i ruoli siano ribaltati, come nella scena didattica de Il fantasma della libertà (1974), in cui i personaggi conversano amabilmente seduti su tazze del bagno, ma devono appartarsi per mangiare, secondo il tipico cambiamento di segno delle cose descritto dal semiologo Jurij Lotman.


Ciò che scandalizza Sophie è proprio il cambiamento di segno del 'simile', avvertito come minaccioso, non quello del 'diverso', di ciò che non ci riguarda, una volta relegato in una classe di appartenenza che non condividiamo: le vacanze di Sophie non sono quelle della donna occidentale in mezzo a una curiosa popolazione primitiva amazzonica.


Qui i nudisti, con la puzza sotto il naso, sono quanto di più borghese ci possa essere. Come l’abbigliamento fu segno distintivo della borghesia fin dalle sue origini, l’esserne privi è l’abito di accettazione sociale nudista. Come l’imposizione dei propri costumi, atteggiamenti e interessi fu un tratto imprescindibile del consolidamento borghese, così gli atteggiamenti naturisti del film sono fondati su regole comuni da rispettare, sulla frequentazione amicale e sulla condivisione di interessi. Al garbo interessato dei vicini di casa fanno da contrappunto le ingiurie degli 'integralisti', che esternano la propria xenofobia, il timore di essere 'invasi' nel proprio territorio. Non è un caso che le scene in cui i nudisti rivendicano i propri principi siano ambientate in contesti smaccatamente di classe, come il supermercato e una bacheca di annunci commerciali.


Nudisti per caso ha come tema diffuso la pornotopia, l’invadenza della sessualità nella sfera del linguaggio sociale. L’abito informa la modalità dell’essere (il vestito di Issey Miyake, con il nudo muliebre de La fonte di Ingres stampato, sarebbe inadatto a Sophie secondo Olivier) e dell’agire (al nudista Gilbert può sembrare troppo piccolo borghese il naturale desiderio di avere figli da Juliette). Il rapporto voyeristico di Gilbert con la moglie, con la sua componente di feticismo virtuale antitetico al coito, è ribadito dal Leitmotiv iconografico dei seni di Juliette, esteticamenti posti in rilievo sotto gli occhi di Sophie e nostri, fino a perdere la funzione complementare materna, caratterizzandosi infine come seduzione saffica e traslazione virtuale per lo spettatore.


Per cui il naturismo viene caratterizzato dalla sua condizione di «mito» impraticato, ove le tendenze ideali dei nudisti, del tutto integrate nella concezione erotica contemporanea, sono orientate verso l’allontanamento dalle condizioni teleologiche delle generazioni primitive. In una delle rare scene dedicate alla natura, Landron spartisce gli spazi in due, con Sophie da una parte che passeggia sulla riva e il mare dall’altra, sotto un cielo violaceo, a commentare lo iato fra la vita dell’uomo e la natura. Infelice Sophie nella monotona vita parigina, sono altrettanto infelici le donne del villaggio Ventus, che fanno sesso più per compiacere gli uomini che se stesse.

Il tono complessivo del film è pacato, le scene, con i loro molti difetti tecnici, sono compresse da una bella tempistica del montaggio, che innesta i personaggi da un luogo all’altro senza soluzione di continuità, come tanti appunti diaristici di una settimana affatto stressante per Sophie e comica per noi, né più e né meno delle disavventure di Peppino De Filippo nell’episodio «Le tentazioni del Dottor Antonio» di Federico Fellini, tratto dallo zavattiniano Boccaccio ’70. Ma qui il finale è più inquietante, poiché Sophie e Olivier non solo si adattano, ma vengono stancamente inghiottiti nella 'normalità' del luogo, nell’opposizione borghese a un altro modo di essere borghesi, senza che la loro esperienza annunci una crescita culturale, che coniughi in un’idea complessiva più ampia i diversi modi di vivere degli uomini, scegliendosi il proprio. La loro è una tragedia in sordina, di piccoli uomini infelici compressi nelle maniere e nelle mode della società che li ospita, senza via di uscita.

[pubblicato su Notizie in... Controluce, n. XIV/9, settembre 2005, p. 27.]




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